domenica 30 agosto 2009

Conserva di fichi caramellati alla cannella

fichi caramellati m


...Ora, cosa mi è girato di tirar fuori la Nonna Papera, io proprio non lo so. Quello che, so, invece, è che ho innescato una reazione a catena di amarcord, fra quelli miei personali e quelli sollecitati dall'esterno, che mi hanno messo una malinconia addosso da non crederci. E' da ieri che è tutto un riaffiorare di ricordi , di rimpianti, di nostaglie velate e di vuoti devastanti, per anni perduti, occasioni sprecate, persone troppo amate per potersi illudere che basti una manciata di anni per lenire il dolore della loro assenza.
E' andata che mi son messa a cucinare- in barba ai 35 gradi della mia cucina, all'aria pregna di umidità di questa fine estate che appesantisce ogni respiro, alla stanchezza di una giornata piena e alle fughe sui balconi del marito e della creatura, che tutto avrebbero potuto sopportare, ma il forno acceso, ti prego no.
Ho acceso il forno, ho pesato zuccheri e farine, sorvegliato lievitazioni e dato forme alla mia tristezza. E quando ho finito, ho preparato una conserva- io che non tengo mai niente, che butto via tutto, che passo attraverso persone e cose in un anelito costante al domani, al futuro, al nuovo e al dietro l'angolo, ho messo via un po' di sapori di questa stagione: il dolce dei fichi, l'amarognolo del caramello, l'intrigante della cannella, l'effimero del rum, e qualche goccia di malinconia.



CONSERVA DI FICHI CARAMELLATI ALLA CANNELLA
( liberamente ispirata a Conserve dolci e Salate- Il Meglio di Sale&Pepe)

fichi caramellati m

Per un chilo di fichi, occorrono
500 g di zucchero ( preferibilmente di canna)
100 ml di rum
la scorza grattugiata di un limone e di un'arancia
2 stecche di cannella ( o un cucchiaino abbondante)

fichi caramellati m

Scegliere fichi piccoli e sodi, meglio se neri . Pulirli bene e togliere il picciolo, senza sbucciarli. Metterli poi in una casseruola dal bordo basso e dal fondo spesso, ampia, tanto da poterli contenere tutti, uno vicino all'altro, in piedi, e cospargerli con lo zucchero. Irrorare con il rum e lasciar macerare per minimo due ore. ( una notte intera, sarebbe meglio- io non l'ho fatto e son venuti buoni già così, figuriamoci con un riposo più lungo)
Mettere poi la casseruola sul fuoco, meglio se sulla piastra, o sennò sulla fiamma coperta dallo spargi fiamma, in modo da assicurare una cottura più uniforme. Aggiungere la cannella e la scorza degli agrumi grattugiata e far cuocere a fiamma bassissima, fino a quando lo zucchero si sarà completamente sciolto. Vi ci vorrà circa un'oretta. Teoricamente, dovreste muovere un po' i fichi, in modo che si impregnino bene dello sciroppo: qualcuno scuote leggermente la pentola, io uso un cucchiaio di legno, piccolo, in modo da non bucarne la superficie. Procedete comunque con cautela
Trascorso questo tempo, sorvegliate con attenzione la cottura, per evitare che lo zucchero caramelli troppo. Calcolate, indicativamente, ancora un quarto d'ora: quando si è formato uno sciroppo molto denso, sono pronti.
Invasate, disponendo nei barattoli prima i frutti e coprendo poi con il caramello: non è indispensabile procedere immediatamente, potete lasciar leggermente raffreddare il composto. Chiudete bene i barattoli ( io ho usato quelli della Bonne Maman, me ne sono venuti 5) e lasciate raffreddare a testa in giù. Conservare in luogo fresco e buio, per massimo tre mesi ( alzi la mano chi ci riesce...)
Buon fine settimana
Alessandra



sabato 29 agosto 2009

Crostata di fichi di Nonna Papera

crostata di fichi di nonna papera m


Sta per uscire anche in Germania il film più atteso da tutte le food blogger e gli amanti della cucina, quel Julia and Julie che si annuncia sin d'ora come il campione di incassi del prossimo autunno. La storia ci è già stata anticipata alla grande da Sara, che, vivendo dall'altra parte del mondo, gode di tutte le anteprime: e così, quando, l'altro giorno, facendo zapping nell'hotel di Lubecca, mi sono imbattuta nei trailers e nei servizi che ne anticipavano l'uscita, ero già preparatissima.
"Vedi???", dicevo a mio marito "è questo il film della food blogger fallita che ha deciso di riscattarsi provando ogni giorno una ricetta del libro di Julia Child... e come sarebbe a dire, chi è Julia Child... ma è la Merryl Streep, non vedi, che interpreta questa signora qui che negli anni Sessanta ha raccolto tutte le ricette della cucina francese e per gli Americani è un mito, capisci, e nel film si procede in parallelo, di qui la Streep che fa la Julia, di lì la Julie che non so come si chiami per davvero, ma che fa la food blogger e si inventa questa ideona qui per diventare famosa e..."
... A questo punto mi sono fermata, folgorata da un'illuminazione. E mi sono immaginata la schiera di food blogger del mondo che, all'indomani dell'uscita del film, galvanizzate dalla storia, si lanceranno nella corsa al tomo più rappresentativo della cucina dei loro Paesi, per ripetere l'impresa della protagonista. Ed è stato allora, che ho deciso che, appena tornata a Genova, la parola d'ordine sarebbe stata "azione": perché non ci saremmo potute lasciar scappare l'opera più significativa che mai sia stata scritta nella storia della gastronomia mondiale, la summa di tutti i saperi culinari, scritta dall'unica, grande icona della cucina occidentale, la vera antesignana dei food blog e la sola capace di far sbavare intere generazioni di uomini e donne, di nonni e nipotini, passando per zii sfigati e cugini fortunati, inossidabile al passare dei tempi ed ai mutamenti delle mode, come si conviene ai veri capolavori............

manuale di nonna papera m

IL MANUALE DI NONNA PAPERA!!!!!

posseduto da entrambe le autrici di questo blog nella prima edizione, al costo di ben 1500 lire, rigorosamente sgarruppato, con segni di ditate, disegnini ai margini, dediche dal vago restrogusto di una minaccia ( Ad Alessandra, nel giorno del suo compleanno, perché diventi come Lei), ben in vista sugli scaffali delle librerie, con a destra l'Escoffier e a sinistra il Manuale delle Giovani Marmotte.
Riprenderlo in mano è stato un amarcord mica da ridere ( ve lo ricordate Il Grog dello spiffero??? E i Pettegolezzi storici?) e, alla fine, mi è venuta una voglia matta di preparare una di quelle torte su cui, da bambina, sognavo per ore, immaginando gusti e profumi e perdendomi, già allora, in quella che negli anni diventerà una delle tante mie debolezze- la passione per i ripieni ricchi e morbidi.
Ne è venuta fuori questa cosa qua


CROSTATA DI FICHI DI NONNA PAPERA

crostata di fichi di nonna papera m

che unisce il ripieno della tarte al limone e cocco ( senza cocco e alleggerita di limone) con l'ultima produzione del nostro orto anarchico...

fichi m

ingredienti
per una tortiera del diametro di 26/ 28 cm
pasta frolla ( la mia ricetta standard è la solita: 300 g di farina, 200 di burro, 100 di zucchero, 1 tuorlo e la scorza grattugiata di un limone)
6 fichi grossi- oppure 8 piccoli
175 g di burro ( io ne ho messi 150)
175 g di zucchero
3 uova
scorza grattugiata di limone, q.b.
zucchero a velo

imburrate bene uno stampo da crostate, meglio se col fondo rimovibile e stendetevi sopra la frolla. Mettete in frigo per un'oretta.
Sbucciate i fichi e divideteli in 4 spicchi che disporrete sul fondo della torta, a crudo.
Montate bene le uova con lo zucchero, fino ad ottenere un impasto soffice e spumoso. Poi, aggiungete il burro fuso e fatto intiepidire, sempre montando con le fruste elettriche. Aggiungete un po' di scorza di limone ( nella ricetta originale non c'è, ma avevo bisogno di qualcosa che rafforzasse un po' il sapore della crema) e versate tutto nel guscio di frolla, sopra i fichi.
In forno a 180 gradi per 30 minuti, coprendo la superficie con un foglio di alluminio, nel caso dovesse scurire. Togliere dal forno, ricoprire la superficie con zucchero a velo e ri-infornare per altri 10-15 minuti: si formerà una crosticina sottile, che ricorda molto da vicino il "guscio chiuso" delle torte della Nonna, ma molto più sottile e più facile al taglio.
Assolutamente da provare.
Questa ricetta partecipa al contest di Spizzichi & Bocconi "Non solo prosciutto e fichi"
Buon appetito
alessandra

lunedì 24 agosto 2009

SOUFFLE GLACE AL BOURBON e PEPE NERO con COMPOSTA CALDA DI MIRTILLI




Questa è la classica ricetta da massimo risultato col minimo sforzo, fatte ovviamente le debite proporzioni, nel senso che sempre di soufflè si tratta- e stavolta pure di Ernst Knam. Però, tanto per recuperare un po' di motivazioni, è un soufflè glacé per modo di dire, perché non prevede l'utilizzo della meringa italiana, con tutto lo sbattimento che questa comporta; ovviamente, non prevede la cottura- e quindi, neanche l'ammosciamento (ok, lo so che avrei dovuto metterci un sostantivo in mezzo, tipo "il rischio di", "l'eventualità del", ma alzi la mano quello a cui mai nella vita gli si è ammosciato un soufflè..); in più, essendoci di mezzo un genio come l'autore di cotanta meraviglia, il successo è praticamente assicurato. Detto da una che, a parte l'amore viscerale che nutre verso quel gran pezzo di figli..ops, quel grande artista della pasticceria che è appunto Knam, nella pasticceria si muove sempre con la stessa disinvoltura che su un plateau di uova. Il che, fuori metafora, significa una cosa sola: se è riuscito a me.....




Soufflè glacè al bourbon con composta calda di mirtilli 
(da E. Knam, Soufflè, Idea Libri editore)

per 4 persone
(a me, ne son venuti 8 - ho usato gli stampini della cuki, riempiti per tre quarti...)


per i soufflé

4 tuorli
20 g di zucchero (troppo poco: ho aumentato a 100 g)
100 g di whisky bourbon
100 g di panna montata (per me,anche 150)
3 albumi
40 g di zucchero
1/2 stecca di vaniglia
pepe nero

per la composta di mirtilli

200 g di mirtilli
40 g di zucchero a velo
100 g di vino rosso
menta per decorare


Preparazione: montare i tuorli con lo zucchero, unire il whisky, il contenuto della mezza stecca di vaniglia e il pepe, poi la panna e gli albumi montati a neve con lo zucchero; amalgamare bene, mescolando delicatamente tutti gli ingredienti. Versare negli stampi riempiendoli fino a 3/4 e congelare per 4 ore.
Per la composta di mirtilli: lavare i mirtilli, metterli in una pentola con lo zucchero a velo e il vino rosso. Portare ad ebollizione e far bollire per 2 minuti, sempre mescolando
Presentazione: Versare la composta calda di mirtilli nei piatti e disporre sopra i soufflè, decorare con la menta e servire.


Lui la fa semplice, ma ve l'ho detto, è un genio. Ora vi dico come ho fatto io...

1. il bourbon:  onestamente, è un po'tanto. A parte le amenità connesse alla prova palloncino, per cui vi ritirano la patente per tutta la vita, a voi e anche ai vostri familiari, buon peso, copre troppo tutto il resto: dimezzate le dosi e semmai assaggiate in corso d'opera: ad aggiungere, c'è sempre tempo. ( e anche a bervi quello che non finisce nel soufflé, beninteso...)

2. Le uova. sarò fissata, ma a freddo le pastorizzo sempre. Quindi, ho fatto una pate a bombe veloce  per i tuorli e una meringa svizzera per gli albumi
  • per la pate a bombe veloce: preparate uno sciroppo a freddo, con 100 g di zucchero e 35 ml d'acqua (circa). Da parte, sbattete i tuorli, per un minuto circa, in un recipiente che possa resistere al calore : unite lo sciroppo e montate, a freddo, per 30 secondi. Preparate un bagnomaria e iniziate a montare, continuando, fino a quando la temperatura non arriva agli 85°C. E la pate a bombe più veloce del West è pronta.
  • della meringa svizzera ho usato solo il procedimento, visto che le proporzioni di albume e zucchero sono tutte sballate: ho messo gli albumi e lo zucchero in una bacinella e ho scaldato a bagnomaria,sempre mescolando, fino a 60-65°. Poi ho trasferito tutto in un recipiente freddo e ho montato fino al raffreddamento.
in entrambi i casi, non ho usato la planetaria, perchè rispetto alla capienza di quella che possiedo io, le quantità di questa ricettasono minime. Fruste elettriche e un po' di pazienza. Il termometro è indispensabile, in pasticceria. Ve lo dice una che ha resistito per anni, ricorrendo a tutte le prove empiriche di questo mondo.
Se non  lo possedete, andate a occhio e a tempo: per la pate a bombè, quando la massa ha triplicato il suo volume (a bagnomaria gonfia di più) dovrebbe essere pronta; per la meringa svizzera, basta scaldare per un minuto: appena intuite che potrebbe iniziare la fase del bollore, levate subito dal fuoco.
Va da sè che questi non siano metodi precisi: se non siete più che sicuri della provenienza delle vostre uova, è meglio scegliere ricette che ne prevedano la cottura. E iniziare a riempire il porcellino, per il prossimo acquisto...


Per il resto, tutto uguale. Una bontà.
buon appetito
alessandra




domenica 23 agosto 2009

tarte robuchon

a scanso di equivoci: la ricetta che segue è la Robuchon originale, riportata da Maurizio Santin nel suo libro "I Dolci di M.S." editore Il Gambero Rosso.
Anzi no: è una creazione di Santin che lui dedica a Robuchon, come si legge nella precisazione qui sotto.
In ogni caso, resta immutata la mia confusione nel racconto che segue fra la tarte di Robuchon e quella di Felder, cosa di cui mi sono accorta successivamente e che ho ripreso nel post della Ma Tarte Choc. Ma siccome questo è un blog dove nessuno è perfetto e dove sbagliando non so se si impara, ma di sicuro ci si fanno un sacco di risate, lascio tutto com'è, anche se chiedo venia per la confusione: due torte del genere, però, possono bastare, per ottenere il vostro perdono?????



tarte robuchon

Sboroni si nasce ed io modestamente NON lo nacqui e qualche volta un po' mi dispiace. Come oggi, per esempio. Perché, vedete, questa torta qui io l'ho mangiata per la prima volta, vent'anni fa, direttamente al Crillon, a Parigi, e se tanto mi dà tanto potrebbe anche essere stata non dico assemblata, ma magari preparata sotto lo sguardo vigile del suo creatore, il grande joel robuchon. Per cui, adesso, io potrei iniziare questo post raccontandovi di quella volta che, a Les Ambassadeur, mentre stavo prendendo il tè con le amiche, sono stata colpita dalla consistenza di questo ripieno e al primo morso ho intuito l'esatta regione della provenienza del cacao e arrivata a casa ho telefonato a Maurizio e gli ho detto " guarda, fatti uno stage a Parigi che c'è uno che merita, mi sa..."
Invece, a me 'sta torta fa solo venire in mente il mal di piedi. Nel senso che io al Crillon, quel giorno lì, ci ero arrivata praticamente sui gomiti, stremata da un Genova-Parigi in treno notturno e da tre chilometri di coda per la mostra su Gauguin al Grand Palais e l'unica cosa a cui anelavo era un posto dove poter riposare, prima di riprendere il treno per tornare a casa. Non so neanche dirvi perché si sia finite al Crillon, anzichè nel classico bistrot da rive gauche, anche se non escludo di aver mosso a compassione l'amica globe trotter et maratoneta ( stricto sensu, sia chiaro), più incline a pinte di barbera che a calici di champagne, ma alla fine ci siamo impadronite di un tavolo, di un po' di sedie e di due menu, sui quali spiccava in bella vista una semplicissima Tarte au chocolat.
Era l'epoca in cui gli chef non erano ancora entrati di diritto a far parte dello star system e i nomi delle loro creazioni, se mai li avevano, derivavano tutti dalle personalità a cui erano dedicate, Madame Melba o Pavlova che fossero. Motivo per cui, questa torta era una semplice torta al cioccolato, senza alcuna menzione aggiuntiva di sorta. E meno male, aggiungo ora, perché all'epoca, se si fosse chiamata Tarte Robuchon, non l'avrei degnata di uno sguardo.
Da allora, è stato tutto una ricerca della ricetta perfetta, che riuscisse non dico ad eguagliare, ma quanto meno ad evocare il sapore di quella torta che, questo lo ricordo benissimo, fu per me una specie di choc, sia al gusto che alla vista: lucida, compatta, profumata, incredibilmente buona.
Fra tutte quelle provate, questa è quella che ci si avvicina di più: l'autore è quell'altro giga-fuoriclasse di Maurizio Santin, che alla corte di Robuchon ha fatto una parte del suo apprendistato e che per questa tarte ha parole di ammirazione sconfinata. Ovviamente, questa è la versione casalinga della sottoscritta, arricchita con un quantitativo maggiore di crema, perché qui si cucina per la famiglia, e lo strato di ripieno lo vogliamo bello spesso, ma la ricetta originale, così come la svela Santin, con tanto di Copyright, è questa qui:

TARTE DI CIOCCOLATO FONDENTE
(da I Dolci di Maurizio Santin, Gambero Rosso editore)

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200 g di cioccolato al 55%
150 g di panna liquida fresca
50 g di latte
1 uovo
pasta frolla per tarte*

Stendere la pasta frolla in uno strato sottile e foderare una tortiera di 30 cm di diametro imburrata e infarinata. Cuocerla nel forno a 180 gradi senza portare a temrine la cottura ( 15, 20 min al max) nel frattempo, preparare il ripieno: far bollire la panna con il latte e versarla subito sul cioccolato tritato. Mescolare energicamente con una frusta e aggiungere un unovo intero, continuando a mescolare fino ad ottenere un composto bene amalgamato. Versare questa crema al cioccolato all'interno della tarte e cuocere nel forno a 120 gradi fino a quando la crema avrà raggiunto la densità di un budino. Lasciare intiepidire e servire.

* 1 kg di farina; 800 g di burro; 400 di zucchero a velo/ 8 tuorli/1 pizzico di sale. ( le dosi, ovviamente vanno ridotte- io ho usato 3 hg di farina etc)
Impastare lentamente nello sbattitore, utilizzando l'apposita paletta, lo zucchero, il burro, i tuorli, la metà della farina e un pizzico di sale. Quando l'impasto comincia ad essere omogeneo, aggiungere il resto della farina. Quando è pronta, avvolgere la pasta nella pellicola e farla riposare per un giorno in frigorifero, prima di utilizzarla
buon appetito
alessandra

lunedì 17 agosto 2009

terrina di peperoni con cuore di treccia

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Se non fosse che mi vergogno per l'aulicità del paragone, scomoderei Orazio e il carpe diem. Perché la particolarità di questa ricetta sta tutta nel cuore morbido, assicurato da una treccia di mozzarella che fonde cremosa nel piatto, al primo taglio della forchetta. Ma che, al pari di tutti i formaggi cotti, dopo un po' si rapprende in una massa gialliccia e filamentosa che, se salva ancora qualcosina sul fronte del gusto, perde ogni attrattiva su quello della presentazione. Quindi, ai soliti tempi di esposizione a cui ci condanna ogni obiettivo fotografico che si rispetti, in questo caso bisogna aggiungere l'esatta combinazione fra il raffreddamento dello sformato (che se è troppo caldo, si spatascia) e quello della fusione della mozzarella, su cui credo che Einstein avrebbe deciso di dedicare il resto delle sue ricerche, se non fossero sopraggiunti altri impegni, un tantino più urgenti. Ma siccome qui Einstein ci fa un baffo, sono partiti i calcoli combinati, al nanosecondo, ovviamente, perché in casa mia si fa tutto col calibro, anche e specialmente la frantumazione delle scatole della sottoscritta. E quando finalmente era tutto pronto, macchina fotografica da una parte, set dall'altra, sguard fissi sull'orologio della cucina ( che è fermo da quando abbiamo traslocato, ma è un dettaglio superfluo), proprio allo scattare dell'attimo, è squillato il telefono. Con la suocera all'altro capo, che si informava delle sorti della terrina, visto che la ricetta proviene dai suoi archivi e non sia mai che la nuora avesse sbagliato qualche cosa e già che ci siamo te ne dò un'altra, che è un po' lunga ma ne vale la pena, aspetta che la cerco, l'avevo messa qui, ecco, mettiti comoda che detto.
Devo proseguire, o il finale lo sapete già?
E se, tanto per cambiare, vale la regola della seconda che ho detto, usate la vosta immaginazione anche per "vedere" il filo di mozzarella colante, dalla foto qui sotto, fatta all'unico esemplare superstite, il mattino dopo. Perché alla sera, qualcosa mi ha suggerito che sarebbe stato meglio non insistere con le foto e mettere subito in tavola...

TERRINA DI PEPERONI CON CUORE DI TRECCIA

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per 4 persone
6 peperoni rossi; mezzo peperone giallo; mezzo peperone verde; una treccia di mozzarella; 2 cucchiai di pangrattato; 2 cucchiai di parmigiano grattugiato; uno spicchio d'aglio; olio EVO; 2 uova; sale e pepe

Disponete i peperoni rossi in una teglia con un dito d'acqua e fateli cuocere in forno già caldo a 200 gradi, girandoli spesso, finchè la pelle tenderà a staccarsi. Toglieteli dal forno, chiudete per qualche minuto in un sacchetto per alimenti; quindi spellateli, puliteli, divideteli in falde e salateli. in alternativa, potete anche gligliarli, eliminando sempre la pelle.
Disponete le falde di due peperoni spellate e, se necessario, tagliate a pezzi su misura, in una terrina della capacità di circa un litro, rivestito di carta da forno bagnata e strizzata (io ho usato gli stampi monoporzione da plum cake e ho leggermente sovrapposto le falde, quando non sono riuscita a tagliarle su misura). Intanto, saltate in na padella i peperoni rossi rimasti, tagliati a pezzetti, con l'aglio e un filo d'olio. Farli raffreddare, frullarli bene al mixer con le uova, il pan grattato, il parmigiano reggiano, sale e pepe.
Formate, con il composto ottenuto, uno strato all'interno dello stampo da terrina disponete al centro la treccia di mozzarella intera e coprite con la crema di peperoni rimasta. Cuocete la terrina in forno già caldo a 180 gradi percirca 25 minuti. Lasciatela riposare per qualche minuto e servitela, tagliata a fette, con i peperoni gialli e verdi tagliati a julienne

Avendo usato le monoporzioni, ho ridotto i tempi di cottura, ma non di tanto: una ventina di minuti, non di meno. Di solito, cuocio a bagno maria, ma stavolta, per non crepare di caldo, mi sono fidata della ricetta e ho fatto bene, perché il composto è cresciuto bele ed è rimasto molto umido all'interno - grazie anche alla mozzarella, che ha fatto il suo dovere ;-)
Naturalmente anzichè la treccia, ho usato le treccine di fiordilatte.
Ottimo secondo, molto estivo, estremamente versatile negli abbinamenti ( ci sta bene un po' tutto, dal pomodoro alla melanzana): da rifare, al più presto
Alessandra

giovedì 13 agosto 2009

zuppa fredda di cetrioli e yogurt

Di Alessandra (Raravis)


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Natale non è Natale senza regali, si lamentava non più quale delle sorelle March in uno degli incipit più famosi della letteratura mondiale. L'estate non è l'estate senza una zuppetta fredda direbbe invece uno qualunque dei milioni di food bloggers sparsi per la blog sfera, visto il proliferare, in questi ultimi anni, di gazpachi più o meno esotici, ajo blanco, creme fredde e robe varie, con cui si è soliti annunciare che la bella stagione è arrivata. A noi non fanno propriamente impazzire ( ve la ricordate, la zuppa CAZ???) ma qualcuna fa eccezione, specie se combinata con ingredienti di territorio, in unioni benedette da tradizioni millenarie: come quella fra cetrioli e yogurt, per esempio, qui declinata in una versione aromatica e profumata, in un felice trait d'union fra sapori mediterranei e risonanze nordiche. Da provare, assolutamente

ZUPPA FREDDA DI CETRIOLI E YOGURT

zuppa fredda di cetrioli e yogurt

per 4 persone
4 cetrioli di media dimensione, ben sodi
1,5 dl di latte
300 g di yogurt bianco cremoso
un cucchiaino di aneto tritato
un cucchiaino di basilico tritato
il succo di un limone
sale e pepe
40 g di olio EVO
per guarnire, un peperoncino rosso fresco

Preparazione: spuntare i cetrioli e pelarli, poi tagliarli a metà nel senso della lunghezza ed eliminare i semini centrali. Tagliarli a tocchetti e metterli nel mixer insieme allo yogurt, al latte, al'olio e a un pizzico di sale e pepe. Frullare sino ad ottenere un composto cremoso; trasferirlo in una ciotola e aggiungere il succo di limone e le erbe tritate. Amalgamare bene e porre in frigorifero per due ore. Al momento di servire, suddividere la coppa in coppe o in grossi bicchieri di vetro. Per la guarnizione: lavare il peperoncino rosso, privarlo del picciolo e tagliarlo a metà, eliminare i semi piccanti e tritarlo finemente: distribuirlo sulla superficie della zuppa fredda.
Buon Appetito
alessandra

domenica 9 agosto 2009

torta di pane di altamura con zucchini e pomodori


di Alessandra
torta di pane zucchini e pomodori

La creatura si lamenta perché tutte le sue amiche vanno in Sardegna, e noi invece nei Mari del Nord. A quanto pare, non siamo sufficientemente à la page e quindi questo viaggio in Danimarca andrà ad aggiungersi alla già lunga lista delle Tradizioni- Familiari- da Pura-Vergogna, insieme al non essere mai stati in un villaggio turistico, al non aver mai visto una discoteca e all'aver visitato tutti i musei d'Europa, meno importanti inclusi.
E' tutta la mattina che cerco di convincerla che non è poi così grave, che in fondo uno dei mari più belli del mondo ce l'ha a un passo da casa (se volete li conto, ma siamo lì), che la seconda (o prima???) abitazione del suo nonno adorato e adorante è una barca e che se vuole andare a fare dei bagni come si deve non ha di che schioccare le dita, ma niente: ogni argomento viene tranciato bruscamente con un "ma la Sardegna è un'altra cosa" e pare che da qui non si scappi.
Così, per placare temporaneamente le lamentazioni quotidiane, ci siamo trasferiti in campagna, con amichetta al seguito ed è qui che mi è venuta l'illuminazione: anzi, ad essere precisi, ce ne son venute due, una ciascuno, a me e al marito, e visto che potrebbero andar bene entrambe, le sottopongo al vostro insindacabile giudizio, giusto per scegliere quale tenere in panchina: avete tempo fino a sabato pomeriggio, quando l'amica andrà via e quindi ricominceremo la saga del "come sono sfortunata"- puntata numero 10032, "tutti gli altri vanno in Sardegna, io no". quindi, oliate le meningi e datevi da fare...

come sarebbe a dire che non siamo à la page 1: avere un orto, oggi, fa tanto Michelle Obama - questa è l'argomentazione del marito e, tanto perché non vi facciate illusioni sulla fantasia degli ingegneri, non è farina del suo sacco E' il commento di un suo amico del Missouri alle quintalate di prodotti che sistematicamente troviamo qui ad ogni fine settimana e la cosa ha fatto scattare l'associazione di idee con il tormentone dei tabloid americani di questi ultimi mesi. Pare infatti che la first lady trovi grande conforto nella cura dell'orto e che si faccia ritrarre di continuo con zappe e rastrelli, mentre mostra orgogliosa l'ultimo nato dei giardini presidenziali, ravanello o fagiolino che sia. Roba che se mai lo venisse a sapere la Carlà, convocherebbe uno stuolo di fotografi a Versailles, a ritrarla con vanga laminata in oro, ballerina rinforzata e ultimo numero di Vogue Jardin in mano, con il sorriso beato sul volto ea mitigare invano la solita espressione conciliante, del tipo "sia in Rolls Royce che sul trattore, io son sempre la migliore". Secondo il marito, basta cambiare il cartello della cascina, scrivendoci sopra Camp Mason's e il gioco è fatto

come sarebbe a dire che non siamo à la page 2: ve li ricordate i nostri custodi calabresi, quelli che hanno i nipoti che si chiamano Gessica e Maicol? Quelli delle riunioni di famiglia sul prato all'inglese della suocera e della zampogna a turbare la quiete immobile del pomeriggio?? difficili da dimenticare, direte voi. Ne convengo, dico io, ma stavolta sono più preziosi del solito. Perché volete sapere quale terra ha prodotto siffatta specie? Soverato, in provincia di Cosenza, un piccolo paese sulla costa jonica, assurto agli altari della cronaca mondana per aver dato i natali nientemeno che ad Elisabetta Gregoraci, al civile Lady Briatore. Come dire, che un po' del Billionaire passa anche da qui, alla faccia delle amiche di mia figlia strizzate sulle spiagge dei villaggi turistici e alle code di Vips da guardare da lontano. E se decide di piovere come Dio comanda, anche noi qui arriveremo in yacht, stile la coppia bilionaria, e faremo anche più sensazione, perché un conto è una barca nelle azzurre acque dello Jonio, ben altro è scalare una montagna di melma viscida e scivolosa, per giuta sopra un monte. E poi, volete mettere, al posto dello zum zum zum-paraparatumb-tumb-tumb dei Truzzinaire, il lieve suono delle zampogne del custode???? Secondo me, vinco e convinco....

TORTA DI PANE DI ALTAMURA
CON ZUCCHINI E POMODORI



6- 8 fette di pane di Altamura, leggermente rafferme
5 uova
250 ml di panna
500 g di zucchini
2 pomodori
1 scamorza affumicata ( circa 3 hg)
olio EVO
pangrattato
parmigiano grattugiato, 2 belle manciate
un mix di spezie ( origano-timo- basilico)
sale e pepe



rivestite il fondo di uno stampo a cerniera con carta da forno e ungete bene i bordi.
Sgusiate le uova, sbattetele rapidamente con una forchetta, aggiungete la panna e salate. Immergetevi velocemente le fette di pane e disponetele nella tortiera, in modo da ricoprire il fondo e i bordi. ( qui in campagna ho solo "roba grossa", ma con le dosi indicate potete rivestire senza problemi uno stampo di 26 cm).
Mettere in forno ad asciugare, a 200 gradi, per 4-5 minuti
Nel frattempo, grattugiate gli zucchini e fateli saltare in padella per 7-8 minuti, con un po' di olio e sale. Potete anche aromatizzare con del basilico, tagliuzzato con le forbici. Devono rimanere croccanti. Lasciatele intiepidire e unitele al composto rimasto di uova e panna. Se il pane dovesse averne assorbito troppo, aggiungete eventualmente un tuorlo e 75 ml di panna. Aggiungetevi poi la scamorza tagliata a dadini, il parmigiano, una macinata di pepe e un po' di sale, se è il caso ( di solito, lo è)
Versate poi questo composto nella tortiera rivestita di pane, livellatelo bene e copritene una parte con delle fette non troppo sottili di pomodoro ( vanno bene quelli da condire, rotondi). In pratica, dovete fare un cerchio, lasciando libero il centro, come nella foto.
Terminate spolverando la superficie di pangrattato e di erbette.
In forno a 200 gradi per mezz'ora- 40 minuti
E' la fine del mondo...
Buon appetito
Alessandra

giovedì 6 agosto 2009

mousse di avocado con anguria e fragole



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Premesso che sull'argomento non mi sono ancora fatta un'opinione chiara, se oggi qualcuno dovesse chiedermi che cosa vorrei fare da grande, penso che risponderei senza esitare che vorrei diventare la Nigella. E questo, sostanzialmente, per tre motivi
1. per poter essere considerata una icona sexy, nonostante un cinque -sei chili di più, e pure mal distribuiti, alla faccia delle mie diete del lunedì mattina, delle camicie over size e dei calci alla bilancia con cui inizio ogni giornata, da qualche anno a questa parte.
2. per non dover lavare montagne di cucchiai- cucchiaini- cucchiai di legno et forchette, ogni volta che cucino, ed essere invece libera di ficcare un dito dentro creme, spume e manicaretti vari e ficcarmelo per giunta in bocca, al fine di assaporare fino in fondo il gusto di quello che c'è sopra e non per tamponare i danni dell'ustione di terzo grado perché per la miseria, mi son distratta un attimo e ho messo l'indice nel minestrone bollente
3. per percepire sonori ingaggi per preparare cose che a casa mia sarebbero accolti da risatine di scherno, sopracciglia alzate e commenti sarcastici ( " non dire che sono schifezze, Carola: è cucina da blog") per poi essere travolti da inviti più o meno benevoli a tornare rapidamente sulla retta via della cena come si deve (con un primo, un secondo e un dolce- e pure nei piatti)
Oggi, però, le mie aspettative hanno ricevuto un duro colpo, in seguito al quale penso che le mie possibilità di diventare Lei si siano azzerate di colpo, senza possibilità di risorgere, in nessun modo.
Perché, vedete, ieri ho fatto indigestione. Di gelato. Ma, prima che scatti la solidal catena dell'"eddai, e cosa vuoi che sia e se non lo mangi ad agosto, il gelato, quand'è che lo vuoi mangiare", sappiate che la vivanda incriminata è il residuato bellico di non so quale marca industriale che giaceva dimenticato al settimo strato del freezer e che ho fatto fuori in seguito all'insorgere di un certo languorino, che al confronto Gargantua e Pantagruel sembrano le signorine vittoriane di qualche post fa. E mentre mi ingozzavo, pensavo che faceva proprio schifo, con quel retrogusto di plastica d'antan che probabilmente risaliva all'epoca dell'acquisto e che, negli anni, non era migliorato per niente. Mezz'ora dopo, quella che faceva proprio schifo ero io: colorito verdastro, sudori freddi, occhi aperti a fase alterne, pezzuola in fronte e metaforico registro dei Santi in mano, che guai a saltarne uno, nella trafila dei fioretti, che "giuro-giuro-giuro che se passo la notte MAI PIU'" e amenità del genere, su cui sorvolo, per decenza. ma che devono aver sortito i loro effetti perché, nel giro di qualche ora, mi è apparsa niente meno che Lei .In diretta dalla sua cucina immacolata, con le unghie laccate, la cofana perfetta, i figli servizievoli, il pollo sfrigolante e tutto quanto fa NigellaLawson, magliettina aderente compresa. La quale, con un sorriso indulgente, mi ha ricompensato della mia devozione, ammettendo che, talvolta, anche lei è umana e che sì, ogni tanto, anche lei, ha un languorino. E, quando ciò avviene, però, anziché avventarsi sul gelato dell'altr'anno si prepara una leggera zuppetta di piselli e pesto, che poi si porta dietro, nella gavetta firmata, e si beve beata al parco, in coda a far la spesa e, udite udite, pure sull'autobus.
Ed è lì che ho capito che non ce la potrò mai fare: perché anche se resistessi la mezz'ora che a me serve per preparare la zuppa, se avessi il pesto sempre pronto in frigo, se avessi l'acqua che mi esce bollente dalle pentole esattamente come ha lei, mi ci vedete a placarmi il languorino, bevendo dal thermos, mentre traballo sulla piattaforma dell'autobus? E soprattutto: ce li vedete i passeggeri , quelli che aspettano alla fermata, l'autista (!!!) a tollerare senza colpo ferire di avere come compagna di viaggio una che, sul più bello, si apre una bottiglia piena di una roba verde e puzzolente e se ne beve una bella tazza, magari senza neanche offrirne un po'????
Meglio, molto meglio, confortarci con la macedonia qua sotto, che avrà un che di nigelliano nella semplicità dell'esecuzione e nell'estro degli accostamenti, ma che non è trasportabile in nessun thermos, non si beve alla fermata dell'autobus e placa il languorino senza passare per forza sul cadavere della tua reputazione, poca o tanta che ti sia rimasta...
E poi, comunque, io da grande voglio fare Martha Stiuart, altro che....

MOUSSE DI AVOCADO CON ANGURIA E FRAGOLE

MOUSSE DI AVOCADO


A scanso di equivoci, non è che i postumi dell'indigestione prevedano che si confondano le fragole con i lamponi:è che quelli, oggi, aveva Cartier- ma le fragole ci stanno meglio, senza alcun dubbio

per 4 persone
1 avocado maturo
200 g di panna montata
1 limone
4 palline di polpa di anguria fresca
1 cestino di fragole
foglioline di menta per decorare

Tagliare in due l'avocado, scavarne la polpa con un cucchiaino, spremervi sopra il limone e schiacciarla bene con una forchetta. Aggiungere la panna ad un cucchiaio per volta, avendo cura di non smontare il composto. Aggiustare di sale
Comporre le coppe come nella foto, con uno o due cucchiai di mousse all'avocado e la frutta. Decorare con foglioline di menta e servire
Buon appetito
ale


martedì 4 agosto 2009

Scarpe italiane- H. Mankell/ Un assassino di troppo- M. Sjowall- P. Walhoo

Non so bene da quanto tempo non mi capitasse di leggere due bei libri di fila, ma ciò è finalmente avvenuto e lo registro qui con soddisfazione: i libri in questione sono Scarpe italiane, di Henning Mankell e Un Assassino di troppo, di M. Sjowall- P. Walhoo, come già saprete se avete dato un'occhiata all'home page, dove transitano come imminenti da tempo ( ono in un ritardo disperato con le recensioni) o se siete miei amici su Face Book.
Quello che però non sapete è che appena ho terminato la lettura del primo, non sono stata a rimuginare su qualcuna delle cose appena lette, nè a lasciar decantare le emozioni o, al limite, a pensare a cosa avrei scritto qui sopra. Perchè, ad essere sincerea in Scarpe italiane non ci sono nè grandi emozioni, nè grandi contenuti, nè grandi cose da dire. E' l'ennesimo Mankell senza Wallander (grrr...) e stavolta anche senza un plot dichiaratamente "giallo", anche se il protagonista, un anziano medico che si è autoesiliato su un'isola remota del mare del Nord dopo aver sbagliato un intervento, è comunque al centro di un'indagine, tutta giocata sul piano dell'interiorità, che lo porterà a riappropriarsi di una vita a cui aveva rinunciato troppo presto e troppo male. Se però vi aspettate introspezioni abissali o elucubrazioni sui massimi sistemi, siete del tutto fuori strada: perché questo è un romanzo crepuscolare, per così dire, dove tutto è filtrato attraverso il rimpianto di chi, a poco a poco, realizza di aver buttato via gran parte della sua esistenza e che quella che gli resta da vivere è troppo poca per poter recuperare quanto perduto. Il rito del buco nel ghiaccio con cui ogni mattina il protagonista si impone di prendere contatto con l'unica parte della vita che ha scelto di salvaguardare- quella delle funzioni vitali, per intenderc, e poco più- diventa quindi metafora di uno spiraglio in una fortezza impermeabile alle emozioni, ai sentimenti, al calore. Da lì ad allargare il varco il passo è breve e verrà compiuto da una strana creatura emersa dal passato- ovviamente una donna, altrettanto ovviamente l'unica mai amata dal chirurgo - e mi fermo qui, perché sennò vi racconto tutta la trama e vi privo del gusto di scoprire da soli come va a finire.
Quello che però volevo dire è che, anche se non è un Mankell a quattro stelle, è sempre un buon libro, se vi piace il genere: scrittura lenta, evocativa, di atmosfera, periodi spezzati, franti, sospesi. Rispetto al solito, le tinte sono un po' più sbiadite, ma le tre ore che si trascorrono in compagnia di questa storia scorrono via in modo rilassante, piacevole e garbato, a conferma della fondatezza di uno degli assiomi a cui sono più affezionata: e cioè che se uno sa scrivere, lo sa fare sempre, indipendentemente da ciò che racconta.
Chi invece sa scrivere e ha anche una gran bella storia da raccontare sono i due autori di un libro che avevo in mente di leggere da un bel po' e che, per alterne vicende, finivo sempre per accantonare. Stavolta, c'è stato un ribaltamento di fronti ed è toccato ad un altro volume essere accantonato in favore di questo e, anche se non so che genere di soprese mi riserverà la prossima lettura, questo è stato l'incontro migliore fatto da qualche mese a questa parte. Dietro i due nomi difficilissimi e reali della copertina si cela la coppia ( pure nella vita, erano marito e moglie) che è universalmente considerata la fondatrice del cosiddetto giallo nordico, quello a cui appartengono Mankell e Larrson, per capirci, e a cui il primo ha sempre riconosciuto di essere debitore, in ogni senso. Il trait d'union, effettivamente, c'è, ed è molto forte: ma la cosa più strana è che, pur avendo operato negli anni '70 ed avendo ambientato le loro storie in quest'epoca, infarcendole di dettagli e di atmosfere che si accordano alla perfezione con lo spirito di quel periodo, sembra di leggere un'opera sì a quattro mani, ma non di M. Sjowall- P. Walhoo, bensì di Mankell e Larrson: il primo ci mette lo stile, il secondo la componente di denuncia sociale e tutti e due un plot sostenuto, intricato, condotto abilmente su binari paralleli e con un'abilità estrema nel dosaggio dei tempi e della tensione narrativa. Come dire, cioè, che nei libri di questi autori c'è già tutto quello che noi abbiamo imparato a conoscere e ad amare leggendo le avventure di Wallander, da un lato, e di Lisbeth e Mikael dall'altro: delle storie forti, inimmaginabili in quel ritratto algido e perfetto con cui si tende a raffigurarsi la Svezia, dei personaggi caldi e appassionati, moderni eroi di battaglie perdute, che cadono e si rialzano in nome di un'eticità incrollabile, dei paesaggi vividi, empatici, che nei loro contrasti riflettono le contraddizioni di una società inquieta, irrisolta e a tratti malata. Il tutto raccontato con uno stile avvincente, che vi tiene inchiodati dalla prima all'ultima pagina- e chissenefrega se questo è il seguito dell'opera prima, se vi mancano dei riferimenti, se scoprite a metà l'identità dell'assassino della storia con cui i due inaugureranno questo fortunatissimo filone ( un libro l'anno, per dieci anni): alla fine, ci siete solo voi e il racconto e le vostre emozioni, che passano dalla tensione, alla commozione, alla rabbia sorda, alla ribellione, al sorriso divertito e, in ultimo, alla soddisfazione di un cerchio che si chiude in una trama perfetta, in una scrittura ben calibrata, in una storia ben condotta, con la certezza di aver trovato dei nuovi amici, con cui potrete stare in buona compagnia, per un po'.
Alla prossima
Alessandra

sabato 1 agosto 2009

Spaghetti alla siracusana

spaghetti alla siracusana


In diretta dal feudo del marito, dall'orto anarchico, dalla nursery dei gatti ( abbiamo una gatta di dubbia moralità, anzi no, correggo: di indubbia amoralità. Però, non si è mai visto un topo, qui in giro....) e dal sottofondo musicale delle zampogne perché, udite udite, c'è il sole. E c'era anche ieri e mi sa che ci sarà anche domani.
Tutto perché non c'è la suocera, ovviamente. La quale giace malata a casa, sintonizzata su Menu Turistico per passare un po' il tempo e che certo apprenderà con infinito piacere che la sua adorata nuora se ne sta spaparanzata su una sdraio, a godersi questo inizio d'agosto meraviglioso- che erano anni, Carla, che non ce n'era uno così, chissà come mai, proprio quando non vieni...
Che poi, a ben guardare, "giacere" non è il termine esatto per mia suocera, anzi: nel suo vocabolario, penso che non esista proprio, così come neppure esistono i verbi "stancarsi, riposare, fermarsi un po'" e tutto quello che riguarda i ritmi di una vita normale. Lei è perennemente in movimento, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Non ho mai indagato in merito, ma se mi dicessero che nel biberon, al posto del latte, ci avevano messo l'equivalente commestibile delle Duracell, non avrei esitazioni a crederlo.
Io, invece, sono pigra. E non c'entra che faccia un sacco di cose: questo è dovuto al senso del dovere, da una parte, e dalla noia dietro l'angolo dall'altra, per cui alla fine mi ritrovo sempre con le agende piene e il fiato corto. Ma, per natura, se mi proponessero di stare sdraiata a leggere per tutto il giorno, con qualcuno che provvedesse alle mie funzioni fondamentali (sostanzialmente, portarmi da mangiare e da bere, ad un mio debole cenno), non muoverei nessuna obiezione.
Oggi, per esempio, sta andando "abbastanza così": nel senso che a parte cucinare, fare la spesa, riassettare la casa in tre minuti (un minuto a piano, se ci fossero i mondiali delle casalinghe sarei meglio della Pellegrini- E NON COMINCIAMO A GUARDARE SE C'E' POLVERE SOTTO I TAPPETI, per cortesia...), dicevo, a parte 'ste cose qua, non ho fatto assolutamente niente. Nada de nada, pacchia assoluta.
Ah, no, dimenticavo: ho raccolto le zucchine. Che, detta così, ha un che di romantico, da quadretti di vita campestre tardo vittoriana, con le donzelle in crinoline ed ombrellino, che si chinavano a raccogliere i prodotti dell'orto con fare leggiadro. Vista da vicino, invece, la scena è un tantino più inquietante, con gli stivaloni invece delle trine, il machete al posto dei coltellini del servizio buono e una specie di cerimonia degli addii fra chi resta e chi parte. Che, quando torna, è, a scelta, o tutto graffiato o tutto punto dagli insetti o ha sacrificato qualche capo di abbigliamento sul campo: l'ultimo luttuoso evento risale a non più di mezz'ora fa, quando il marito ha dovuto dire addio ai bermuda della gloriosa estate del 1980, che hanno rimediato un taglio a sette in puro stile vela al vento, dall'ultima battaglia con le zucchine. Che però, alla fine, hanno dovuto soccombere e ora sono di là, in cucina, simili a tanti zeppelin verdi, in attesa che mi venga qualche idea per prepararle. Ma siccome questa è la mattinata della pigrizia, anche le facoltà mentali sono "a dimora" e l'unica cosa che si è prodotta, al momento, sono questi spaghetti qui- che di campestre non hanno proprio nulla, ma sono buoni, profumati, estivi e sopratutto, si preparano con poca fatica...

SPAGHETTI ALLA SIRACUSANA


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per 4 persone
320 g di spaghetti- meglio se trafilati al bronzo ( devono fare l'ultimo passaggio in padella)

12 acciughe sotto sale
100 g di olive nere snocciolate
40 g di capperi dissalati
3 pomodori maturi
2 spicchi d'aglio
mezza cipolla rossa di Tropea ( o una piccola)
2 peperoncini freschi
olio EVO
sale

Mettere sul fuoco una padella capiente ( meglio se con i bordi alti, stile wok) con 3 cucchiai di olio EVO e l'aglio. Far insaporire l'olio a fuoco medio per qualche minuto, poi togliere gli spicchi e sciogliervi le acciughe, passate sotto l'acqua corrente perché perdano tutto il sale. Aggiungere i capperi e la cipolla tagliata a concassè. Far cuocere pochissimo, quel tanto che serve agli ingredienti per amalgamarsi fra loro e spegnere il fuoco.
Tagliare i pomodori a dadini e metterli in uno scolapasta, in modo che diano via l'acqua.
Mentre cuoce la pasta , accendere nuovamente la fiamma sotto il sugo, aggiungere i pomodori e le olive e farli saltare velocemente.
Scolate la pasta al dente, tenendo da parte due mestolini dell'acqua di cottura, e farla saltare nella padella con il sugo. l'acqua tenuta da parte vi servirà per legare meglio la pasta con il sugo, in questo passaggio. dovete comunque lavorare velocemente, perché il segreto di questo piatto sta nella cottura "appena scottata" degli ingredienti . In ultimo, spezzettate i peperoncini con le mai e servite.

Buon Appetito
Alessandra