venerdì 23 marzo 2012

Arridateme l'onomastico!!! Jammy Coconut Sponge, di jamie Oliver


jammy coconut sponge

Cara Santa Claudia, 
mi permetto di indirizzare a lei l'ultimo anello di una catena infinita di rimostranze, dopo che, in oltre trent'anni di accorati interrogativi, nessuno mi ha ancora dato risposta. Confido nella sua santità, che deve certo essere sconfinata, se le ha permesso di scalzare dal calendario quella Santa Alessandra Martire che, quando son nata io e per gran parte delle mia infanzia, veniva degnamente ricordata il 20 marzo.

Me lo ricordo benissimo, perchè in casa nostra le feste vanno sempre raggruppate: mio padre, per esempio, è nato il giorno di Capodanno; io e mia sorella, festeggiamo il compleanno a tre giorni di distanza l'uno dall'altra. Per non palrare delle pletore di parenti e affini che si accavallano negli stessi giorni e le conseguenti figuracce legate ad auguri tanto inaspettati quanto inopportuni. Il mio onomastico non faceva eccezione: il 19 si festeggiava il papà (che si chiama pure Giuseppe, tanto per prestar fede a quanto sopra), il 20 il mio. 
E questo avveniva a casa e soprattutto a scuola, visto che la maestra era una che ci teneva, alla storia e ai nomi e alle feste e chi aveva la fortuna di un omonimo martirizzato in tempo scolastico aveva un motivo di godimento in più: intanto, il primo quarto d'ora della giornata veniva dedicato alla biografia del santo (di solito, un minuto per nascita e vita, 14 minuti per la morte- e mai come in quei frangenti invidiavamo l'unica Caterina della classe che quel giorno lì riscattava le costanti prese per i fondelli a cui la costringeva un nome che in genovese suona come catena, con tutte le conseguenze del caso);  e poi si procedeva a un po' di festeggiamenti che  iniziavano con l'esenzione dalle interrogazioni e culminavano con l'accesso alla merenda della maestra, la famosa brioche che il bidello le portava ogni mattina col caffè.
Le lascio quindi immaginare lo sconcerto- anzi: il trauma- quando, nell'anno della quinta elementare, alla pagina del diario del 20 marzo è apparsa Lei. Con tanto di sogghigni delle Claudie dei banchi delle femmine, che da anni avevano tentato invano di far sentire la loro voce contro quell'unica Alessandra, dal nome così impervio e così strano. 
Perchè, vede, ai miei tempi, ci si chiamava per lo più Antonella, Gabriella, Raffaella. C'era qualche Simonetta, resisteva ancora qualche Maria. Imperavano le Cristine e le Paole. Ma i nomi strani erano pochi e Alessandra era fra quelli. Per anni, son stata la "Alle", con due elle e non conto le volte in cui ho dovuto specificare che le "esse" eran due. Ero l'unica del paese, con quel nome, e chi condivideva con me le punte di esotismo, non aveva gli ostacoli dell'ortografia. "Monica", per esempio, scivolava via piano, senza doppie nè dittonghi; e le Sabrine e le Roberte avevano il conforto della fama su carta stampata, che fosse la locandina di un film (il primo) o la copertina di un disco (mia sorella, per dire, è una delle tante figlie putative di Peppino di Capri. Fosse stata un maschio, l'avrebbero chiamata Champagne). Ma Alessandra, era troppo difficile da mandar giù. Tanto che, fra gli errori di gioventù, annovero pure un lungo periodo in cui son stata Sandra- e se solo vi azzardate, ricarico il bazooka, santamente parlando.
Insomma, cara Santa Claudia, io rivorrei la mia santa. E la rivorrei il 20 marzo, esattamente dov'era quando ero piccina, subito dopo la festa del papà e subito prima dell'inizio della primavera. Se la dovesse incontrare, nei corridoi del Paradiso, glielo dica, che mi manca. Lei, la mia maestra, il diario di Jacovitti, i maschi contro femmine, il bidello col caffè- e anche le Claudie del banco di dietro...
Devotamente sua
Alessandra G.



JAMMY COCONUT SPONGE
da Oliver, J., Jamie's Great Britain

jammy coconut sponge

Siccome non son tipa che si arrende, ho imposto Claudia come secondo nome a mia figlia. Ne ho fatto un ossimoro vivente, come dice lei, ironizzando sul significato opposto dei nomi che porta (libera e zoppa), ma, nel concreto, mi sopno riappropriata della tradizione: si rifesteggiano gli onomastici e pure due per volta.  In più, col fatto che non festeggio il compleanno, celebro almeno l'onomastico in ufficio, come ben sanno i miei colleghi con cui quest'anno abbiamo diviso questa spettacolare sponge cake di Jamie Oliver. Sapevo che non sarei riuscita a fermarmi alle ricette dello Starbooks e questa mi è proprio scappata: tant'è che all'ultimo minuto ho realizzato di non avere neanche una scaglietta di cocco, per la finitura. Ho usato del cioccolato bianco e ho sostituito la marmellata di more con quella di lamponi e vi assicuro che nessuno si è lamentato della variazione....


per la torta
225 g di burro morbido più un pezzetto per ungere la teglia
225 g di zucchero
4 uova grandi
225 g di farina autolievitante
mezzo cucchiaino scarso di lievito
un po' di latte
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
75 g di cocco disidratato (io ho usato 50 g di cioccolato bianco)


per la marmellata di more
250 g di more
125 g di zucchero
1/2 limone

Stampo rettangolare, 30 x 20 (io ho unsato uno stampo rotondo, di 22 cm di diametro)
180 gradi

Montare bene il burro con lo zucchero, fino ad ottenere un composto gonfio e spumoso e aggiungere le uova, uno alla volta, sempre montando. Aggiungere la farina e il lievito, un po' di latte e l'estratto di vaniglia e mescolare bene. Versare il composto in uno stampo imburrato e cuocere a 180 gradi per 25-30 minuti. Mentre la torta è in forno, preparare la marmellata


Schiacciare le more con lo zucchero, in una casseruola, usando una forchetta o uno schiacciapatate: unire il succo di limone, mettere sul fioco, portare a bollore. Abbassare la fiamma e far bollire per 20 minuti circa, mescolando ogni tanto, fino a quando la marmellata si addensa. Schiumare via via, durante la cottura, poi togliere dal fuoco e lasciar raffreddare pian piano. 

Nel frattempo, la torta sarà diventata soffice e dorata: toglierla dal forno, lasciarla faffreddare 5-10 minuti. Rovesciarla su un piatto da portata e spalmarvi attorno la marmellata, spatolandola con un coltello a lama piatta anche sui bordi. Cospargervi sopra il cocco e servire. 

jammy coconut sponge

Note mie
Ovviamente, la mia è una versione iper semplificata, sia nella scelta degli ingredienti che nella presentazione, visto che dovevo portarla in ufficio e non avevo voglia di tirar giù tutto l'ambaradan dei porta torte e affini. 
In pratica, ho preparato una sponge cake con le dosi riportate, l'ho lasciata raffreddare nella teglia per una decina di minuti, l'ho sformata direttamente  su un piatto da portata, l'ho cosparsa di marmellata di lamponi, fatta leggermente scaldare in un casseruolino, sul fornello, in modo che diventasse più liquida e quindi più facile da stendere, non ho toccato i bordi, per evitare che nel trasporto si appiccicasse tutta (di solito, cucino la mattina per l'ora dopo: non ho il tempo di far raffreddare etc) e ho grattugiato sopra del cioccolato bianco. 
Velocissima, facilissima, buonissima
ciao 
Ale



mercoledì 21 marzo 2012

My Nan's Clement's Cake per un tè con Jamie Oliver

Preliminare momento di tolleranza, sotto gli effluvi dei buoni sentimenti del post di ieri.
Se leggo ancora una volta "the" al posto di "tè" prendo un bazooka e faccio una strage.

Jamie Oliver collage

Ultima puntata dello Starbooks del mese di marzo e appuntamento pressocchè annunciato, visto che da tempo immemore, a los cinque de la tarda, tutta la Gran Bretagna si ferma per celebrare il rito che meglio la identifica e meglio la connota, vale a dire l'ora del tè. E siccome lo Starbooks del mese di marzo è una celebrazione in chiave oliveriana della cucina britannica, non poteva mancare un intero capitolo dedicato a questo momento, ricordato però solo ed esclusivamente in chiave dolce. Con tutta che il rich tea non ha nulla da invidiare alle cene continentali, Jamie Oliver fa una scelta di gusto, ora rinunciando alla leziosità di certi bocconcini che pure hanno segnato una parte importante della cultura inglese (cosa sarebbe stato, Oscar Wilde, senza i cucumber sandwiches?), ora relegando altrove piatti più robusti. Noi però avevamo voglia di dolce e di tradizione e così, pur potendo scegliere fra molti altri argomenti- su tutti, la cucina dell'Impero: ma avremo altre occasioni...- ci siamo trovate concordi su questo: che sia un problema di (mezza)età o il fiuto tutto femminile verso le situazioni che meglio si prestano a riscaldare la muscolatura più allenata, che gravita sempre attorno alla lingua, non è dato di interrogarci. Anche perchè gli argomenti da trattare sono ben più importanti e il tempo, tant per cambiare, fugge....

E dunque, tiriamo le somme e chiediamoci se, alla fin fine, vale la pena di avere questo libro sugli scaffali delle nostre librerie. 
A prezzo pieno, forse no: 30 sterline sono una cifra notevole e anche se dal punto di vista editoriale il prodotto li vale tutti, io per prima ci avrei pensato su due volte prima di investire una somma piuttosto consistente in un testo che rivisita ricette già note. 
Ma, al di sotto di questa cifra- e God Save Amazon.co.uk, che periodicamente svende anche al 70%- assolutamente sì, per i seguenti motivi: 
1. per quanto sia sovraesposto e onnipresente, Jamie Oliver continua a confezionare prodotti di alto livello. Tralascio per un attimo le considerazioni sui contenuti che, essendo fortemente caratterizzati dall'impronta dell'autore, meritano un discorso a parte. Ma dal punto di vista del prodotto editoriale in sè- concezione dell'opera, impostazione grafica, materiali- siamo sempre di fronte a signori libri. copertina rigida, carta "come una volta", repertorio fotografico vario, mosso, in una parola vivo, pienamente in sintonia con lo stile del suo autore che coinvolge a tutto tondo un modo di pensare al cibo come veicolo di salute, di convivialità, di rinnovamento di una tradizione che continua a vivere nella costante riattualizzazione dei propri fondamenti. Leggere un libro di Jamie Oliver significa trovarsi di fronte ad un'opera unitaria, nella scrittura, nelle immagini, nella scelta delle ricette, a conferma dell'essitenza di un progetto di fondo in cui l'autore crede fermamente e che trapela da ogni dettaglio, in modo genuino ed immediato. 

2. la capacità di scrittura. Lo dicevamo qualche giorno fa, lodando il tempo andato della Ada Boni e dei Pellegrino Artusi: le ricette si prestano ad essere raccontate: basta avere competenze solide, da una parte e un po' di talento narrativo, dall'altro. Jamie oliver ha entrambi e leggere le sue ricette è un piacere che a volte supera anche l'interesse per il piatto proposto. Noi ci siamo esaltate, seguendo spiegazioni che ci esortavano ad essere impavidi nel dosaggio degli ingredienti, a non avere paura ad alzare la fiamma e abbiamo sognoato di fronte a insalate di pollo che diventavano epiche o a cosciotti di agnello che riscattavano la secolare mitezza della specie lanciandosi in cotture ardite per non parlare delle onomatopee (crunchy , creamy, gnummy, sticky), dei superlativi, dei delicious e degli easy che suonano come continui moniti a mollar tutto e correre in cucina, per dar vita a queste meraviglie. Per non parlare delle introduzioni, una per ogni ricetta (e son più di 130), spesso lunghe, spesso dedicate, sempre impregnate di quell'amore travolgente per il cibo che contraddistingue questo eterno ragazzone e che costituisce l'ultimo argomento a sostegno del "sì lo voglio" 

3. il cibo, si diceva- che è la parte più importante, se vogliamo: perchè di un libro di cucina sempre si tratta e di un libro di cucina deve avere le caratteristiche. La premessa, quando si affrontano autori così connotati da un proprio stile, è consequenziale a quanto si è appena detto. Ancor prima che un libro sulla cucina britannica, questo è il libro di Jamie Oliver sulla cucina britannica. Se cercate la tradizione tout court, cioè, rivolgetevi altrove. Ma se invece amate l'approccio di questo chef al mondo del cibo, siate impavidi anche voi nel varcare la soglia della libreria: Jamie's Great Britain non vi tradirà, forte di ricette che riescono al primo colpo e che stupiscono per una bontà che, sulla carta, non sembravano garantire. 
Se non ci credete, fatevi un ultimo giro dalle nostre 4 amiche dello Starbooks, alle prese con i dolci più tipici dell'ora del tè, seguendo i link che trovate più sotto. E se vi restano ancora dei dubbi, andate allo scaffale dello Starbooks e selezionate il titolo di questo libro: oltre ai nostri contributi, troverete anche alcune proposte delle altre amiche che ci aiutano in questa avventura e che vi permettono di toccare con mano (e di assaggiare, con tutte le papille) se quanto abbiamo detto di questo testo è fondato o meno. 
Per noi, è stato un successo: una dimostrazione di credibilità a tutto tondo, che è poi la vera scommessa, il vero investimento, il vero punto di forza che dà la misura della serietà di qualsiasi professionista degno di questo nome- e Jamie Oliver, ancora una volta, dimostra di esserlo.
A dopo Pasqua, con lo Starbooks di Aprile

Patty- Andante con Gusto: Wonderful Welsh Cakes
Cristina G.-  Insalata Mista: Scottish Shortbread
Alessandra- Ale Only Kitchen: Walnut Banana Loaf
Cristina B. - Vissi di cucina: Earl Grey Tea Loaf
MT- My Nan's St Clement's Cake




MY NAN'S ST. CLEMENT'S CAKE
da Oliver, J, Jamie's Great Britain

st clement's cake

Immensa figata, senza se e senza ma. Una sorta di mix fra la lemon drizzle cake e una torta di mandorle, con il tocco di Jamie che stavolta culmina in questo mix delizioso di arancio e limone e suggerisce abbinamenti agrumati per tutte le stagioni, dai pompelmi in inverno, all'accoppiata lime e limone per il bel tempo in arrivo. Facilità quasi offensiva, di quelle che mi distendono un sorriso da parte a parte, con buona pace di chi è convinto che le cose buone escano solo da trattati sull'arte di montare il burro e da cestini della spesa riempiti in farmacia. La riprova è in quello che non vedete dal confronto fra le due foto, scattate la prima alla sera di domenica scorsa, con la trota appena glassata- e la seconda alla sera del lunedì, dopo un'intera giornata passata fuori casa, noncurante delle sorti di un dolce che, in quanto tale, è sempre snobbato dagli appetiti domestici. La fetta che vedete immortalata è l'unica sopravvissuta all'assalto delle fauci del marito e della creatura alla quale, sia chiaro, le arance nelle torte non piacciono e il limone così così. Il tutto per una decina di minuti di lavoro (esclusa la cottura) e 5 per la farcitura. Devo aggiungere altro, o basta cosi?
Le Note mie in fondo


per 12 persone
125 g di burro a temperatura ambiente, più quello per ungere
225 g di zucchero (125 +100)
4 uova grandi
1 arancia, grande (scorza e succo)
200 g di mandorle macinate
100 g di farina autolievitante

per la glassa al limone
225 g di zucchero a velo
1 limone

Forno a 180 gradi
Stampo rotondo con fondo amovibile, del diametro di 20 cm
Fondo imburrato e rivestito di carta da forno

Montare il burro cn 125 g di zucchero, fino a quando si otterrà un compposto soffice e morbido, aggiungere le uova ad uno ad uno e la maggior parte della scorza di arancio. Tenerne da parte un po' per la decorazione finale, conservandola in pellicola trasparente. Aggiungere le mandorle grattugiate e la farina setacciata, incorporare bene il tutto e versare il composto nella teglia, precedentemente preparata come da istruzioni, più sopra. Infornare a 180 gradi per circa 30 minuti o fino a quando la superficie sarà dorata. Fare la prova stecchino. Lasciar raffreddare per pochi minuti

Nel frattempo, preparare uno sciroppo con i 100 g di zucchero rimasti e il succo dell'arancia. Mescolare entrambi gli ingredienti in un casseruolino e metterlo sul fuoco, lasciandolo sobbollire a fiamma media per pochi minuti,  fino a quando lo zucchero si sarà sciolto. 

quando la torta è ancora calda, praticare sulla sua superficie dei buchetti, usando uno stuzzicadenti e versarvi sopra lo sciroppo, tutto intorno. Quando quest'ultimo sarà stato ben assorbito, estrarre la torta dallo stampo e farla raffreddare su una gratella. 

Per preparare la glassa (lemon icing), setacciare lo zucchero a velo in una ciotola, aggiungerci gran parte della scorza di limone grattugiata (tenendone da parte un po' nella pellicola per la decorazione) e unire il succo di limone, mescolando bene e aggiungendo ancora un po' di succo, se il caso. 
Disporre la torta, completamente raffreddata, su un piatto da portata, versare la glassa sulla torta, lasciando che scenda lungo i lati e sparpargliarvi sopra le scorze di arancia e limone tenute da parte.

st.clements

Note mie

Arancia e limone si intendono non trattati. 
Se non avete la farina autolievitante, aggiungete due cucchiaini rasi di lievito
Le mandorle si intendono macinate a grana sottile, ma anche no: per esempio, io ho usato 100 g di farina di mandorle e 100 g di madorle macinate un po' più grossolanamente e vi assicuro che il contrasto, sotto ai denti, era piacevolissimo. 
Non è indispoensabile conservare le scorze di arancio e limone nella pellicola: serve a non farle seccare, ma poi vi rmangono tutte appiccicate lì. Basta metterle da parte, coperte. Un po' di carta da forno va benissimo. 
Ho usato un normale stampo da 22 cm di diametro, senza fondo amovibile, semplicemente imburrato e infarinato. 
La cottura è a modalità statica e non siamo arrivati a mezz'ora: 25 minuti ed era pronto. Sfornate il dolce quando lo stuzzicadenti è umido: se rimane dell'impasto attaccato, lasciatelo cuocere ancora: ma non così tanto da farlo diventare troppo secco. 
per quanto riguarda lo sciroppo, niente termometro, siamo inglesi: non deve essere densissimo, ma appena meno che liquido (quando uso questi tecnicismi, mi amo). L'essenziale è che lo versiate sulla torta quando sono ancora caldi, sia l'uno che l'altro. 
I buchi sulla superficie non sono trivelle per il petrolio. Usate uno stuzzicadenti e fatene un po': più ne fate, più lo sciroppo penetrerà nella torta, senza finire sul fondo dello stampo. 
per la glassa invece, andrei piano, con l'aggiunta del succo di limone: procedete goccia a giccia, mescolando sempre bene e aggiungendo liquido solo quando il precedente è stato bene assorbito. Personalmente, preferisco coperture leggermente più dense: per quella che vedete nella foto, ho avuto bisogno di una spatola, per aiutarmi a stenderla. 
Altra piccola annotazione: non lavorate sul piatto di portata, a meno che non vogliate servire il dolce su una superficie appiccicaticcia e zuccherosa. Foglio di carta da forno+gratella+ torta, e la glassa che cade si recupera e si risistema sulla superficie del dolce. Dal che si evince chi pulisce la cucina, anche quando tocca agli uomini mettersi ai fornelli...

martedì 20 marzo 2012

Il Buio oltre la Siepe- e i Pancakes di Cal, per l'ultima Donna (St)raordianaria


Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare fino in fondo, qualsiasi cosa succeda
Atticus Finch 

Picnik donne straordinarie

La prima volta che ho letto questo libro, dormivo nel piano rialzato di un letto a castello, in una minuscola cameretta, in un angolo ancora ridente della periferia genovese. Avrò avuto sì e no dieci anni e l'edizione che avevo recuperato aveva una copertina gualcita già allora e il titolo era quello- evocativo e quasi magico- della strepitosa traduzione italiana.

L'ultima volta, di anni ne avevo venticinque, abitavo a Canterbury e riempivo ore altrimenti vuote aiutando il titolare del negozietto di libri usati di fronte a casa a mettere ordine sugli scaffali. L'edizione era una Penguin altrettanto gualcita, con su il titolo originale, To kill a mockingbird, che sulle prime non mi aveva detto nulla: ma era bastato aprire il libro  e leggere un paragrafo a caso per decidere che la sua sorte non sarebbe stata quella di restare a prender polvere in terra inglese, ma di torsarsene a casa, con me. 
In mezzo, ci son state 40 riletture, per un totale complessivo di 42 volte. Erano 41 le tacche sulla controcopertina dell'edizione di mia madre, ridotta a brandelli e riaggiustata ogni volta alla bell'e meglio con lo scotch, e la quarantaduesima fu la sera di quello stesso giorno in cui lo ritrovai: quella volta, però, fu una lettura diversa, nuova, corale, con la versione originale che richiamava immediatamente alla memoria il testo della mia infanzia e, con esso, mille voci che credevo sopite e che ora si risvegliavano, destate dal susseguirsi delle parole sulla pagina: la bicicletta appoggiata al muro del negozio di mia mamma, la scuola gialla e la mia maestra strampalata, la "casa vecchia" con l'orto pieno di sole e la cantina ombrosa e umida e il solito ritornello che ha scandito i primi anni della mia vita, quell'"Alessandra, chiudi quel libro" che per anni mi ha seguito come un'ombra, ovunque andassi, qualsiasi cosa facessi.
Ho sempre amato rileggere ed anzi, da bambina non riuscivo a farne a meno: i libri erano davvero degli amici e prenderli di nuovo in mano era l'unico modo che avessi per poterli riascoltare e rifrequentare: ma Il Buio Oltre la Siepe li battè tutti. Era il romanzo che avevo sul comodino, il libro che infilavo nella cartella, da ragazzina e, più tardi, nella borsa- ed ogni volta erano letture integrali, dalla prima all'ultima pagina, quasi che non potessi tollerare di perdermi una frase, una parola, una virgola, di quello che per la critica fu uno dei capolavori della leteratura americana del secolo scorso e che per me è, più semplicemente, il libro del cuore.


il buio oltre la siepe

Il tempo ha aggiunto molte informazioni sull'origine e la fortuna di questo romanzo: per esempio, ho saputo che fu Truman Capote ad insistere perchè la sua amica Harper Lee lo scrivesse; che il libro si aggiudicò il Pulitzer, nel 1960; che da allora, l'autrice non scrisse più nulla, ma si ritirò a vita privata, vestendo i panni di una sorta di Salinger al femminile. Ma, al tempo delle avide riletture, di queste cose nulla sapevo- e nulla mi sarebbe importato: ero solo una ragazzina che aderiva a pelle con la protagonista, una bambina di sei anni, voce narrante di una storia dove l'ingiustizia si interseca con la giustizia, la vittoria con la sconfitta, l'altezza e la profondità di un senso etico puro con gli abissi delle più torbide bassezze- e lo fa con gli occhi di una bambina, con l'ingenua e ferrea logica di chi si aspetta che la giustizia trionfi, perchè giusta e i buoni vincano perchè buoni.

Spiegarle che non è così che vanno le cose spetta al suo papà, un giovane e avvocato della provincia del Sud degli Anni 30, prossimo a difendere un altro giovane, che sconta come unica pena quella di essere nato nero e che, per questo, viene ingiustamente accusato del peccato  più turpe. Insieme a Tom Robinson, Atticus Finch difende il mondo a cui ha votato la sua vita e in cui si ostina a credere, che è quello della legge e della pratica della giustizia, unico baluardo a tutela del valore dell'uguaglianza, della parità dei diritti, del rispetto di quella dignità che, ancor prima che uomini, ci rende persone; difende una scala di valori irrinunciabili ed immutabili, sempre pronti a risorgere dalle ceneri delle loro sconfitte, linfe vitali di un imperativo etico che è l'altro filo che si intreccia nella storia delle brutture dell'umanità e che le rende per questo più sopportabili,  meno disumane: e, infine, difende i suoi figli, dalle conseguenze di una storia troppo difficile da capire, troppo grande da sopportare, troppo amara da digerire. Ma li difende alla Atticus Finch, senza nasconderli dalla realtà, ma dando loro le uniche armi con cui valga la pena di combattere , ben diverse dalla carabina con cui stende, al primo colpo, il cane rabbioso che terrorizza il quartiere,  sintetizzate dal precetto che ripete alla sua bambina, la sera, tenendola sulle ginocchia: impara a metterti nei panni degli altri.
In questo senso, Il Buio Oltre la Siepe è uno dei più alti inni alla tolleranza che siano mai stati scritti: perchè celebra una tolleranza che parla il linguaggio della comprensione- e non della compassione; della sussidiarietà- e non della solidarietà; della simpatia- e non della pazienza. E' la matrice comune del nostro essere uomini e donne, l'unica arma contro un destino che ci capita in sorte senza che ci siano meriti o colpe a determinarne il corso, facile alleato dei pregiudizi, dell'ignoranza, della cattiveria. Ed è, in ultima analisi, la risorsa inestinguibile che ci spinge ad andare avanti, a rialzarsi, da vinti, a ripartire, da sconfitti, sapendo che l'unica ricompensa sarà una coscienza pulita, una faccia che si riconosce, ogni mattina e ogni sera, un "si alzi, miss Louise: sta passando suo padre", struggente e toccante tributo a chi ancora non si arrende ed ancora ci crede.

La ricetta di oggi è un omaggio a Calpurnia,la governante nera che si prende cura di Jem e Scout, i figli di Atticus, dopo la morte della loro madre. Anche se nel libro ci sono molte figure femminili, è Cal quella a cui sono rimasta più affezionata: perchè è colei che arriva dove non giunge l'amore infinito del papà di due bambini senza mamma, con un accudimento ruvido e buono che è fatto di silenzi e di rimbrotti, di gesti affettuosi e di lavate di capo, di salopettes da rammendare e lacrime da asciugare- e di "vai piano con quella melassa" che, nei miei ricordi di bambina, è sempre stato il modo più immediato, più quotidiano e più sincero di voler dire al proprio figlio "ti voglio bene".
Qui la ricetta, della Dani

PS. non volevo scriverlo, ma tant'è. Se mia madre, mia sorella e qualche amico di vecchia data passa da qui, avrà i fazzoletti in mano. Perchè Il Buio oltre la Siepe è davvero il libro su cui ho modellato tutta la mia vita, il mio basso continuo, l'ispiratore, spesso involontario, di tutte le mie scelte, non ultima quella di una professione esercitata senza filtri e senza risparmio di tempo e di energie. Prima di oggi, era una specie di segreto, svelato a pochi, in confidenza. E se non ci fossero state le Donne (St)raordinarie, che per quante idee avessi, mi riportavano sempre qui, avrei glissato anche stavolta. Ma ogni volta che me lo sono lasciato scappare, ogni volta che ho sussurrato che se mai ho un testo di formazione, è proprio questo, tutti mi hanno risposto che ci avrebbero giurato. E, vi assicuro, per me non c'è mai stato complimento più grande.

mercoledì 7 marzo 2012

Lo Starbook di Marzo: Jamie Oliver. Jamie's Great Britain

Picnik starbooks marzo


Jamie's Great Britain è, ancor prima di un libro, una dichiarazione d'amore.


Di quell'amore adulto consapevole e maturo che i figli provano verso le  loro madri, una volta cresciuti. Dopo che le hanno criticate, contestate, a volte anche rinnegate, in nome di proposte, valori, culture diverse; dopo che le hanno abbandonate, in cerca di strade nuove, più personali, più libere e più proprie- e dopo che sono ritornati, novelli figli prodighi, ricchi di esperienze, di risorse, di conoscenze e di una nuova saggezza, che ha nella riscoperta delle proprie radici il senso ultimo di questo viaggio.
Jamie Oliver ha fatto così, con la cucina inglese: è cresciuto con essa, nel pub dei genitori a Clavering, nel'Essex, l'ha studiata, al Westminster Catering College, l'ha proposta, al River Cafè- e  poi l'ha criticata, l'ha rinnegata, l'ha abbandonata per altre più seducenti, più intriganti, più confacenti a quella cultura gastronomica che stava formandosi nella mente di questo enfant prodige della cucina britannica, in nome di un ritorno ad un passato inteso nei suoi aspetti più concreti e materiali: veder cucinare Jamie Oliver è un'esperienza sensoriale a tutto tondo, ma è un'esperienza quasi primitiva, una sorta di rito di riapproriazione di ciò che ci appartiene in quanto uomini di questa terra.
E' in questo senso che la cucina di Jamie è, ancor prima che  biologica, democratica, in questo suo impulso ad essere cucina di tutti: non solo nell'utilizzo di materie prime sane, ma anche e soprattutto nel suo essere e dover essere garanzia di salute per tutti, in un recupero essenziale, quasi scarnificato, di quella "dieta" greca che era, in primis, stile di vita.
Jamie ritorna alla cucina britannica riscoprendo nei vecchi ricettari di famiglia- da quella del pub dei suo genitori a quella sempre più allargata che arriva fino ai confini dell'Impero- lo stesso filo conduttore che ha trovato nella tanto amata cucina italiana, nella tanto celebrata dieta mediterranea, vale a dire quel "great food" che è l'essenza stessa di ogni buon cibo, indipendendentemente da dove ci si trovi e che lui, oggi, finalmente, riscopre nella sua terra.
Lo fa alla Jamie, naturalmente, in un libro corposo, divertente, colorato, domestico, familiare e confidenziale e con ricette che creano immediati legami emotivi con il lettore, grazie a quella sua straordinaria capacità di semplificare tecniche e procedimenti- e di dare l'impressione che lo stia facendo per te e per te solo. Era quindi inevitabile che "quelle dello Starbooks" ne rimanessero contagiate, sensibili come siamo state al fascino di questo ex ragazzone che ancora oggi continua a non aver perso nulla dell'ingenuità, dell'entusiasmo e della tenacia che lo ispirano a portare avanti un progetto che, di giorno in giorno, assume sempre più i contorni di una missione.
Esattamente come sta succendendo qua :-), sia chiaro, con queste 4+1 sempre più esaltate, che in queste tre settimane ci aiuteranno a regalarvi alcune fra le più belle fra le 130 ricette di Jamie's Great Britain. Per comodità, abbiamo deciso di dividerle per temi: al momento siamo ferme a tre, ma non è escluso che se ne faccia un quarto, a seconda della piega che prenderanno i nostri calendari. Da oggi e per i prossimi due mercoledì, vi parleremo di piatti legati alle teste coronate, all'ora del tè e alla cucina del pub, nei blog di Cristina G., Cristina B., Ale e Patty, oltre che qui sopra. La Mapi riposa, ma visto ciò di cui è capace quando è sveglia, meglio lasciarla in letargo per un po'....




Quindi, a farla breve, cominciamo oggi,  con un bel menu reale, gustato col sottofondo del  "God Save the Queen", insieme ai

Kate and Will's Wedding Pie di Menuturistico




KATE AND WILL'S WEDDING PIE



Per il ripieno
 
• 2 cucchiai di olio d'oliva
• 1 noce di burro
• 3 rametti di rosmarino fresco tritato
• 3 rametti di timo fresco
• 3 foglie di alloro fresche
• 3 cipolle rosse medie, sbucciate
1 kg di stinco di manzo (chiedere al macellaio di tagliare in dadi 2.5cm e vi darà l'osso)
sale e pepe macinato di fresco
• 2 cucchiai di passata di pomodoro
400ml buona birra
• 2 cucchiai colmi di farina
• 1,5 litri di brodo di  manzo biologico o brodo di pollo
140 g di orzo perlato
• 3 cucchiaini di senape inglese
• 2-3 cucchiai di salsa Worcestershire,
100 g di formaggio Cheddar

 
Per la pasta

 
300g di farina normale, più extra per spolverare
100 g di strutto (ho usato il burro)
100 g di burro
sale marino
1 grande uovo sbattuto



Procedimento

Mettete l'olio d'oliva, il burro e le erbe aromatiche in una grande casseruola di circa 24 centimetri di diametro e 12cm di profondità, a fuoco vivo. Tritate grossolanamente e aggiungete le cipolle, con la carne tagliata a dadini, la tibia e un paio di pizzichi di sale e pepe. Mescolate bene e far cuocere per 10 minuti, mescolando di tanto in tanto. Aggiungere la passata di pomodoro, la birra, la farina e il brodo e mescolare fino ad arrivare al punto di ebollizione. Abbassate la fiamma (molto bassa), mettete il coperchio e lasciate cuocere per 1 ora, mescolando di tanto in tanto. Trascorsa un'ora, aggiungete l'orzo perlato. Rimettete il coperchio  e fate sobbollire per un'altra ora, poi togliete il coperchio e fate sobbollire per altri 30 minuti, o fino a quando la carne si sfalderà facilmente sotto la pressione del cucchiaio e il sugo sarà diventato spesso. Col l'aiuto di un cucchaio, togliete via tutto l'olio dalla parte superiore, quindi aggiungete la senape e la salsa Worcestershire e grattugiare finemente il formaggio. Salate e pepate a vostro piacere. 

Nel frattempo, preparate la pasta
mettete la farina,  lo strutto e il  burro in una ciotola con un buon pizzico di sale. Usando il tuo pollice e  l'indice iniziare  a strofinare il burro nella farina fino a che il composto non  prende la forma dei  Cornflakes. Aggiungervi lentamente 125ml di acqua fredda, quindi  impastare con le mani, rapidamente, fino ad ottenere un composto piuttosto ruvido. Avvolgete la pasta nella pellicola trasparente e mettere in frigo fino al momento dell'uso.

Preriscaldare il forno a 180 ° C.  Eliminare l'osso dallo stufato e versare quest'ultimo in un piatto da pie (per noi, una piroflila da forno), di circa 24 x 30 cm, e di 4 cm di profondità. Spennellare i bordi del piatto con un po' di tuorlo d'uovo. Stendere poi la pasta con un mattarello in una sfoglia di circa 1 cm di spessore e leggermente più grande della pirofila, appoggiarvela sopra, farla aderire bene ai bordi con una leggera pressione delle mani e spennellare la superficie con uovo sbattuto. 
Infornare per 40- 45 minuti, modalità statica. 
Servire con verdure al vapore

Note mie
Per gran parte sono un "mea culpa", perchè le due modifiche che ho fatto hanno solo dimostrato che quando si è di fronte a chef d'eccezione (e Jamie Oliver lo è), bisogna obbedire e tacere. Per cui, le segno, per dovere di cronaca ma, per dovere di onestà, vi dico subito che me le dovevo evitare- e vi spiego anche il perchè.
1. l'orzo: non l'ho messo- ma ci va. Sono pure andata a comprarlo, sia chiaro, perchè le buone intenzioni ce le ho messe tutte. Poi, al momento buono, ho pensato che quella schizzinosa della creatura non l'avrebbe mangiata, che per cena non c'era nient'altro, che ero stanca morta, e così l'ho lasciato dov'era, commettendo un gravissimo errore di bilanciamento (marito dixit), perchè senza orzo il ripieno è un po' troppo sbilanciato verso l'acidità del pomodoro. Considerato che se ne è fatto fuori 4 fette la prima sera e 3 la seconda, direi che ha avuto modo di assaggiarla per bene e possiamo fidarci, no?

2. il cheddar: qui, invece, è stato un rifiuto consapevole. Nel senso che amo il Cheddar sopra ogni cosa, ma solo quello buono. E quello buono, in Italia, non lo trovo neanche se piango. Di sostituirlo con il groviera, in questa preparazione, non me la sono sentita- e così ho tirato dritta, pensando che se mai dovesse ricapitare, di trovarmi davanti ad una cucina vera, in Inghilterra, allora sì che potrò finalmente prendermi una bella rivincita...

3. l'osso: ci andrebbe. Uso il condizionale, perchè ci son mille remore, ma se avete un macellaio di fiducia, resta il migliore insaporitore di tutt. In più, è un tocco molto "oliveriano", in questa ricerca della cucina essenziale, della Ur-materia prima e quindi, se avete modo di procurarvelo, fatelo, perchè ci va. 

4. la pasta: ho fatto una doppia sfoglia, anzichè uno stufato rivestito di pasta. Scelta dettata da elucubrazioni personali? Assolutamente no. Ho letto "pie" e ho fatto una pie... per una volta che obbedisco, mi va male :-)