lunedì 16 febbraio 2015

A GRANDE RICHIESTA... LA STUPENDISSIMA!



"Stupendissima" è una voce che nel vocabolario della lingua italiana non c'è- perchè non tutti gli aggettivi hanno il grado superlativo e "stupendo" è fra questi. 
E' però una voce che Google conosce- e ancor meglio la conosceva qualche anno fa, quando questa torta spopolò sul web, in maniera dilagante ma del tutto inattesa. 
Correva l'anno 2009, scrivevo su un forum di cucina e mi ero innamorata di un libro, Kitchen, una raccolta di ricette della rivista Marie Claire, con foto alla Donna Hay e spiegazioni un po' traballanti, ma che all'epoca mi tenevano incollata alle pagine, neanche si fosse trattato delle cinquanta sfumature del catalogo ikea o dei nuovi arrivi alla voce "teglie".
Per farvela breve, era tutto un provare ricette, compresa anche questa torta, al limone e cocco, come vi racconto più sotto, nel post che in origine l'accompagnava. E siccome già al primo assaggio aveva praticamente steso tutti i volontari, avevo anche pensato di condividerla sul forum di cui sopra, chiamandola Stupendissima, in risposta ad una discussione sulle manchevolezze di alcune forumiste in materia di lingua italiana. 
Piccola premessa: devo parte della mia conoscenza culinaria a signore sgrammaticate e generosissime, che mi hanno messo a parte dei loro segreti e delle loro ricette, con una passione e un entusiasmo e una bravura che ho disperatamente cercato, senza trovarla, nelle cucine di chef laureati. Ragion per cui, anche se sono una vecchia prof di italiano, non è a queste persone che chiedo una conoscenza scrupolosa della nostra lingua, così come non la chiedo ai calciatori o ai meccanici o a quanti fanno un lavoro che non la prevede, come requisito essenziale:  ovvio che mi infastidiscono i congiuntivi sbagliati, ma a un centravanti che mi stende con la consecutio temporis e non segna un gol continuerò sempre a preferire uno che parla come un troglodita, ma al momento buono, la mette dentro.
All'epoca, mi chiamavo raravis, ma van pelt si nasce. e visto che le maestrine mi infastidiscono oltremisura, la mia risposta era stata tutta nel nuovo nome di battesimo dato a questa torta che, sul momento, passò inosservata. 
Ci volle questa signora qui (ma guarda un po'...) che un giorno riportò in auge la ricetta, magnificandola con tutti gli aggettivi ad hoc della lingua italiana- e pure usati in modo corretto: e da allora, per qualche tempo, "Stupendissima" entrò di diritto nel vocabolario internettiano, con buona pace dei censori e degli accademici della Crusca. 
Le mie informazioni si fermano qui. Da quel momento in poi, infatti, ho avuto un po' da fare e non son stata dietro alle sorti di questa torta: ogni tanto, qualcuno mi scrive ancora adesso per ringraziarmi per la porca figura e, anche se i miei meriti sono davvero risibili, incasso con soddisfazione, perchè so quanto piacere faccia rendere felici i propri commensali. 
A casa mia, la si prepara, anche in una versione mandorlata, detta la Stupenderrima, per la legge della par condicio, che per un colpo inflitto alla lingua italiana ne infligge uno anche a quella latina: è inedita, su questi schermi e ve la prometto, per le prossime volte.
Per ora, beccatevi l'originale, introduzione compresa. 
E poi, sappiatemi dire...



Fra le innumerevoli piacevolezze archiviate sotto la voce "gioie della maternità", noi ci godiamo da qualche anno l'avversione della creatura per la cucina in generale- e quella di sua madre, in particolare. A scanso di equivoci, la disgraziata mangia e anche in modo abbastanza giusto: rispetta gli orari dei pasti, non beve bibite gasate, si tiene a cauta distanza dalle merendine e negli anni ha capito che, quando gli alimenti si accoppiano è perché gli altri vivano felici e contenti e non perché perdano ore a separare accuratamente la carne dalla passata di pomodoro e la cipolla dai chicchi di riso. Se poi, nel giro dei prossimi dieci anni, dovessimo mai riuscire a farle capire che ingoiare della roba verde, ogni tanto, non la trasforma automaticamente in una specie di hulk con l'apparecchio ortodontico, ma la rende più sana e più bella, potremmo quasi cantare vittoria.
Anche sul fronte pratico, la ragazza avrebbe dei numeri: le performance ai fornelli si contano a malapena sulle dita di una mano e sono costate ogni volta lacrime e suppliche da parte della sottoscritta, ma i risultati hanno avuto un che di sbalorditivo. "ho preso dalla nonna", ha commentato ogni volta, fra il travaso di orgoglio di mia madre e le ghignate al mio indirizzo del marito.
Il problema, come divevo, riguarda la cucina materna: nel senso che, per mia figlia, o io non cucino mai ( giuro: lo sostiene impavida di fronte a testimoni) oppure cucino cose che non le piacciono. Su questo fronte, mi è toccato sopportare di tutto: dall'asssitere alla richiesta di una terza fetta di torta Cameo, alla festa di compleanno dell'amica inglese, al sentirle dire, come esempio di proporzione inversa, " più la mamma cucina, meno noi mangiamo" ( questa ha fatto il giro di Genova, anzi: se nel frattempo avesse assunto i contorni di una leggenda metropolitana, tranquilli, è tutto vero ed è successo qui, in questa casa, sotto i miei occhi).
Ultimamente, però, la cosa ha assunto un nuovo risvolto, manco a dirlo ancora più imbarazzante, non foss'altro perché pubblico ed indecoroso- e cioè l'abuffata in grande stile dei dolci che preparo per gli amici e che il galateo vorrebbe che si lasciassero nelle loro case e non che finissero negli stomaci di chi li porta in dono. Ogni volta, è un tormento: sguardi languidi lanciati all'ultima fetta, braccia tese con il piatto vuoto, sgomitate per arrivare prima e, come ciliegina finale, un lamentoso " per me, queste cose così buone la mamma non le fa mai" che ha il potere di intenerire anche il più goloso ed affamato dei nostri amici. Ovviamente, io vorrei sprofondare, dalla vergogna: ma a nulla valgono i calci sotto il tavolo, le minacce velate dal tovagliolo, le promesse "che giuro che quando siamo a casa te ne faccio dieci, di 'ste robe qui" : se ha deciso che il dolce le piace, non c'è nulla, ma proprio nulla, che possa fermarla. Anzi, ogni volta è un'escalation verso ulteriori brutte figure: ora, per esempio, siamo arrivati al doggy bag, per cui non solo mangiamo fino a scoppiare, ma ci facciamo preparare anche il pacchettino per la colazione del giorno dopo, con me che sempre più debolmente cerco di oppormi e gli amici sopraffatti dai sensi di colpa, per togliere il cibo di bocca a 'sta povera ragazzina, trascurata dalla mamma.
E così, domenica sera siamo rincasati a notte fonda, con il nostro pacchettino di stagnola nelle mani. E lunedì mattina, accanto ai resti della sera prima, sul tavolo della colazione c'era la replica della stessa torta, solo più fragrante e più profumata, come conviene alle torte appena uscite dal forno. Solo che stavolta era rotonda. E, come ben sanno tutti i grandi esperti di cucina, se c'è una cosa che influisce sul sapore è la forma dello stampo. E le torte quadrate, si sa, sono più buone delle altre. Motivo per cui, gli avanzi sono stati spazzolati in un battibaleno e la replicante ce l'ho ancora semi intatta sul bancone della cucina. Però, almeno stavolta, un commosso "grazie mamma" me lo sono beccato- e , di questi tempi, è meglio che niente....


TARTE AL LIMONE E AL COCCO

la fonte è Kitchen, Marie Claire, ma ho apportato tante e tali di quelle modifiche che ormai l'originale è solo un ricordo

per uno stampo da crostata, meglio se col fondo amovibile, del diametro di 24 cm

pasta frolla, da preparare con la ricetta che preferite

per il ripieno:
180 g di burro a temperatura ambiente
200 g di zucchero
4 uova intere, grandi
la scorza grattugiata di un limone non trattato
90 g di cocco grattugiato
uno yogurt alla vaniglia

con le fruste elettriche, montate il burro a crema, prima da solo, poi con lo zucchero, facendolo diventare bianco e spumoso; unite poi le uova, uno alla volta, sempre montando. Aggiungete poi la scorza di limone,(anche il succo,se volete un gusto piu' persistente) e lo yogurt e amalgamateli al resto degli ingredienti con un cucchiaio di legno: in ultimo, unite la farina di cocco e incorporatela al ripieno.

Per evitare che il composto si separi
1. usate il burro a temepratura ambiente (20-22 gradi al massimo)
2. se lo montate in planetaria, usate la frusta a foglia, altrimenti, vanno bene le fruste elettriche, ma a bassa velocità, perché lo surriscaldano troppo
3. montatelo prima da solo, poi aggiungete lo zucchero (per qualche pasticcere, meglio se a velo)
4. come faccio io (ma non è scritto da nessuna parte): anziché montare il burro da solo, lo stempero con il cucchiaio di legno e lo sbatto bene con quello. Poi aggiungo lo zucchero e passo alle fruste: in questo modo, contengo i rischi di surriscaldamento del burro.

La ricetta originale prevede di rivestire lo stampo con la frolla, di versare il ripieno nel guscio e di mettere in forno.
Io, invece, faccio così

1. prima, imburro e infarino bene lo stampo
2. stendo la frolla
3. la metto in frigo, per tutto il tempo necessario alla preparazione della crema (ma potete tenerla anche di più)
4. faccio una cottura in bianco di 10 minuti, ossia: stendo sul fondo della frolla un foglio di carta da forno, lo copro con fagioli secchi, lo inforno a 180°C, modalità statica, per 10 minuti. Poi spengo, sforno, lascio intiepidire per pochi minuti, elimino fagioli e carta forno, verso il ripieno e inforno, sempre a 180°C per trenta minuti circa.
La superficie deve essere appena brunita, come quella che vedete nella foto.
Non preoccupatevi se, appena fuori dal forno, il ripieno sarà molliccio e tremolante, perché rassoda a contatto con l'aria.

Lasciate raffreddare completamente, poi sformate con delicatezza sul piano da portata e spolverate con zucchero a velo, come se non ci fosse un domani.